Quando l’uomo si scopre impelagato in un’esistenza di caotico
nulla, l’unico sentimento che gli risulta possibile è la paura: per vincerla, egli
cerca di “attribuire senso” tramite categorizzazioni, costrutti mentali che
aiutano ad organizzare il caos e gestire l’ingestibile.
C’è chi divide il mondo in bene e male, giusto e sbagliato,
bello e brutto, c’è chi crede a religioni e ad altre vite, migliori e peggiori
di questa, c’è chi combatte per ideali e ferve di politica, chi razionalizza
ogni cosa, anche la più romantica luna piena, c’è chi vive proiettato in un futuro
luccicante come questi gingilli di Natale, eternamente prossimo e mai attuale. E
tutti vogliono bene, s’innamorano, amano.
C’è qualcosa di paradossale in tutto ciò, nel fatto che l’unico
modo per gestire la paura del reale sia quello di credere a menzogne da noi
stessi inventate.
C’è qualcosa di paradossale, ma anche di estremamente rassicurante:
dipende in parte da noi, quello che inventiamo e a cui crediamo.
In fondo, nessuno più di me potrà mai decidere se dietro la
mia efficienza si nasconda un Eichmann o un Taylor. O un anonimo signor nessuno.