Giornata qualunque nel gridare “viva Trieste, abbasso Gorizia”, nel sognare in quella città multietnica, nel dirsi di rinunciare a tutto il resto per abbracciare quel mondo soltanto.
Provare piacere a muovere aria (e se vibri, ne muovi un po’ di più) e a leggere quattro bandierine su cinque righe, rivendicare in ogni momento l’appartenenza a quella stirpe maledetta discendente da Caino, capire tutto un altro da come sfiora o violenta il suo strumento, cercare e trovare una sinergia ed un’intesa nel contemplare il Bello ed esternarlo, regalarlo e regalarsi a chi si desidera ma per un attimo soltanto perché una nota nell’istante in cui viene prodotta scompare per sempre..: momenti dell’emozionante esperienza musicale di cui, una volta conosciutala, non si potrà più fare a meno.
Poche e piccole cose, forse, ad occhi estranei, in verità un comodo universo parallelo in cui scappare per ritrovare autenticità e sottrarsi a ipocrisie varie ed eventuali. Perché quando la realtà non basta più, non si può che vivere nei sogni, e quindi di essi. E quando mai ci si potrà stancare di una cosa bella e inesistente?
Qualcuno a suo tempo mi disse: “un giorno suonerai nuda davanti a me, ed io scriverò, ispirato dalle tue melodie”… Non era un musicista chiaramente, non sapeva cosa significasse ‘musica’: quando suono, sono sempre nuda, e se sai ascoltare bene, potrai vedere la mia anima… Allo stesso modo in cui fluisce il sangue da una vena tagliata, così, con quell’incedere lento e dilagante, essa fuoriesce da quella del mio violino, e paradossalmente è il corpo ad imporle tale trasmigrazione (che sarà totale soltanto di fronte alla persona cui vorrò regalare la mia vita).
È una decisione il rivelarsi nella propria nudità, sicché non dovrebbe recare vergogna o imbarazzo, ma solamente il piacere di levarsi per qualche felice istante quell’ipocrita velo di Maya che ad oggi avvolge tutto e tutti.
Poi si instaura un rapporto di dipendenza da questa autenticità-evasione, a tal punto che senza essa non riusciresti a vivere. Riusciresti soltanto a campare, che è quel trascorrere giorni piatti proprio di chi è consapevole di non poter più sognare.
Meglio il miele dal retrogusto amaro di chi è condannato a sperare per sempre.
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