martedì 23 febbraio 2010

sapore di sale, sapore di mare... NOTE DI SPENSIERATEZZA SULLE TESE CORDE DELLA VITA

Giornata qualunque nel gridare “viva Trieste, abbasso Gorizia”, nel sognare in quella città multietnica, nel dirsi di rinunciare a tutto il resto per abbracciare quel mondo soltanto.
Provare piacere a muovere aria (e se vibri, ne muovi un po’ di più) e a leggere quattro bandierine su cinque righe, rivendicare in ogni momento l’appartenenza a quella stirpe maledetta discendente da Caino, capire tutto un altro da come sfiora o violenta il suo strumento, cercare e trovare una sinergia ed un’intesa nel contemplare il Bello ed esternarlo, regalarlo e regalarsi a chi si desidera ma per un attimo soltanto perché una nota nell’istante in cui viene prodotta scompare per sempre..: momenti dell’emozionante esperienza musicale di cui, una volta conosciutala, non si potrà più fare a meno.
Poche e piccole cose, forse, ad occhi estranei, in verità un comodo universo parallelo in cui scappare per ritrovare autenticità e sottrarsi a ipocrisie varie ed eventuali. Perché quando la realtà non basta più, non si può che vivere nei sogni, e quindi di essi. E quando mai ci si potrà stancare di una cosa bella e inesistente?

Qualcuno a suo tempo mi disse: “un giorno suonerai nuda davanti a me, ed io scriverò, ispirato dalle tue melodie”… Non era un musicista chiaramente, non sapeva cosa significasse ‘musica’: quando suono, sono sempre nuda, e se sai ascoltare bene, potrai vedere la mia anima… Allo stesso modo in cui fluisce il sangue da una vena tagliata, così, con quell’incedere lento e dilagante, essa fuoriesce da quella del mio violino, e paradossalmente è il corpo ad imporle tale trasmigrazione (che sarà totale soltanto di fronte alla persona cui vorrò regalare la mia vita).
È una decisione il rivelarsi nella propria nudità, sicché non dovrebbe recare vergogna o imbarazzo, ma solamente il piacere di levarsi per qualche felice istante quell’ipocrita velo di Maya che ad oggi avvolge tutto e tutti.

Poi si instaura un rapporto di dipendenza da questa autenticità-evasione, a tal punto che senza essa non riusciresti a vivere. Riusciresti soltanto a campare, che è quel trascorrere giorni piatti proprio di chi è consapevole di non poter più sognare.
Meglio il miele dal retrogusto amaro di chi è condannato a sperare per sempre.

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